I sentimenti dei Rivoltani DOC nei confronti della Fiera di Sant’Apollonia sono unici e ricordano il senso e l’importanza della propria storia e delle tradizioni nelle quali affondano le radici di una comunità.
Sant’Apollonia, la fiera di Sant’Apollonia… forse solo il Natale ha quel profumo magico pari ai due giorni di febbraio dove il nostro borgo si trasforma da tranquilla realtà di paese ad attrattiva principale di tutte le zone limitrofe (e non solo!). Lì, Rivolta gonfia la sua natura rurale, e gli eventi sociali, enogastronomici e folkloristici si fanno fatica a contare.
Tutti noi rivoltani attendiamo con ansia l’arrivo della Santissima, e purtroppo, per il secondo anno consecutivo, la pandemia ci priva della nostra manifestazione. E quando ti fermi per strada con l’amico che trovi sempre, dopo aver tirato un paio di maledizioni, salta sempre fuori l’aneddoto delle tante fiere passate insieme. Ce ne sono tanti, per tutte le età che abbiamo vissuto. Però, essendo magica come il Natale, è da bambini che si forgia il Rivoltano DOC!
Quand’ero bambino, negli anni 80, la fiera si sviluppava dalla piazza fino al Viale del Ponte (viale Ponte Vecchio per i profani) ed io, che abitavo in quel tratto, la domenica ed il lunedì mattina presto, puntavo i piedi per uscire di casa con mamma e papà per “andare a vedere la fiera”. Cominciavamo da sotto il campanile, dove per me era come il mercoledì col mercato ma più in grosso, qualche dolce acquistato già in bocca, anche per reggere le lunghe camminate che ci aspettavano avanti e indietro, profumi di bontà culinarie varie che inebriavano l’aria, gli amichetti anche loro in giro coi genitori di buon’ora, gasatissimi per la kermesse in corso, gli strilloni delle bancarelle che attraevano soprattutto mamme e nonne in cerca dell’affare o della novità da portare a casa (come dimenticare le frittate cucinate al momento, il prodigioso detergente per pavimenti o per lavandini, la scopa che arrivava ovunque, e decine di altre cose…). Poi via, verso Porta d’Adda e verso il Ponte, a vedere i trattori, le macchine e le mucche.
Il pranzo vero e proprio non esisteva, papà me le dava tutte vinte in quei due giorni, e l’assalto alle bancarelle era pressoché continuo, con mia madre che tentava di tenermi a freno. Ma alla Santissima… boh, tutto era concesso. Panini con la salamella, patatine e Coca Cola a go-go. E poi la ricerca del punto “salamella gratis”, quella la trovavi sempre, c’era la sfida a chi la trovava prima.
Poi, al pomeriggio si andava alle giostre, in sala giochi e all’immancabile pesca delle anatre, dove pure se vincevi il robot più brutto o la pistola giocattolo più scassata, ti sentivi figo lo stesso. Zucchero filato, frittella, poi arrivava l’imbrunire e via a casa, stanchi da morire ma felici come una Pasqua!
Due giorni così, un po’ randagi, fuori dal comune, se beccavi il primo sole tiepido ti autoconvincevi che la primavera era alle porte. Crescendo, ovviamente ho conosciuto tanti altri aspetti della nostra Fiera di Sant’Apollonia, ne ho sviscerato l’essenza, ma ciò che ho provato da bambino lo porterò sempre nel cuore, ed è bello rivedere le stesse sensazioni negli occhi curiosi ed emozionati dei miei due bambini. Torneremo presto a rivivere la nostra Fiera, ne abbiamo bisogno!
Diego Bestazzi