Nel centenario della nascita, ricordiamo un concittadino che ha lasciato il segno a Milano ed a Crema per il suo impegno non solo ecclesiale, ma anche sociale e culturale

A memoria d’uomo non si ricorda un altro nostro concittadino insignito della dignità episcopale dopo l’illustre Sant’Alberto Quadrelli, se non l’indimenticabile Mons. Libero Tresoldi. È anch’egli entrato, a pieno titolo, a far parte degli annali della storia del nostro borgo: in quest’anno che sta per finire ne ricordiamo il Centenario della nascita.

Don Libero nasce a Rivolta il 18 gennaio 1921 da una modesta famiglia di contadini della Cascina dei Santi, che sorge sulle mura di quello che nel Medioevo fu il Monastero di Sant’Ambrogio e che oggi ospita l’omonimo ristorante-pizzeria. Il sacramento del Battesimo sarà somministrato due giorni dopo la nascita ed al battezzando verranno assegnati quattro nomi: Liber, Aloisius, Felix e Pascalis.

La madre Graziosa è una Vismara ed i legami di parentela coinvolgono anche le famiglie rivoltane Garotta, Conca, Messaggi e Mondonico.

La sua permanenza in paese sarà molto breve: la famiglia, nel 1924, si trasferisce a Milano per cogliere le nuove opportunità di lavoro del padre Luigi.

In città il giovane Tresoldi acquisisce ben presto la consapevolezza della sua vocazione religiosa, entra giovanissimo nel Seminario di Venegono Inferiore e riceve l’ordinazione sacerdotale a soli 22 anni d’età per l’imposizione delle mani dell’indimenticato Cardinale Beato Idelfonso Schuster il 29 maggio 1943. Sono anni non facili, soprattutto a Milano. Sono i giorni tragici della Seconda Guerra Mondiale segnati dalla fame, dai rastrellamenti, dai bombardamenti, dalle vicende della Resistenza … esperienze tutte che il giovane prete di origini rivoltane vive al fianco della gente delle parrocchie metropolitane di Santa Maria della Fontana e di Santa Francesca Romana.

Al sorgere degli anni sessanta, l’allora Arcivescovo Giovanni Battista Montini – che successivamente salirà al soglio pontificio – lo nomina assistente diocesano delle donne e dei fanciulli cattolici, incarico che poco tempo dopo lo porterà ad assumere il ruolo di assistente ecclesiale di tutta l’Azione Cattolica ambrosiana in una fase delicata come quella delle contestazioni sessantottine che interesserà da vicino anche il mondo della gioventù cattolica.

È nel 1970 che il Papa San Paolo VI – il quale da Arcivescovo di Milano ha avuto la possibilità di conoscerne le doti umane e lo zelo pastorale – lo nomina Vescovo ausiliare di Milano e Vescovo titolare di Altino. Il motto episcopale che sceglie Misericordia et veritas è tratto dal salmo 87 quello che, sugli antichi manoscritti del repertorio gregoriano, compare come antifona per l’offertorio della seconda domenica d’Avvento. Non a caso quella che richiama, a più riprese, a preparare la via del Signore, a raddrizzare i suoi sentieri ed a convertire i propri cuori: un motto che accompagnerà tutte le azioni della missione pastorale del Vescovo Libero.

Nel suo ruolo di Vicario episcopale per la prima zona pastorale ha il privilegio di coadiuvare il Cardinale Giovanni Colombo nel governo di una delle più grandi diocesi del mondo, seguendo la zona metropolitana che, da sola, consta di ben 169 parrocchie. Sua è anche la responsabilità dell’Ufficio di Pastorale Sociale nei momenti difficili dell’esplosione demografica per la forte emigrazione dal sud d’Italia e della crescita dei grandi quartieri periferici nei quali la Chiesa ambrosiana si preoccuperà di costruire comunità cristiane vive e socialmente impegnate. Le vicende storiche legate ai cosiddetti “anni di piombo” stanno insanguinando Milano e minano seriamente il tessuto sociale della metropoli.

Nel 1976 diviene Abate della Basilica di Sant’Ambrogio. Le emozioni che prova celebrando la liturgia in quello storico tempio cittadino lo riportano spesso al ricordo della sua infanzia: «Entrare processionalmente in Sant’Ambrogio – ripeterà in più occasioni – vedere quegli archi allineati, quei capitelli e quegli affreschi così antichi, fa tornare spesso il pensiero alle mie origini, al mio Battesimo, al luogo dove sono nato ed al mondo che ha visto le vicende della mia intera famiglia». Sono note a tutti, infatti, le interessanti similitudini artistiche di Sant’Ambrogio e della Basilica di Rivolta d’Adda: tratti somatici inconfondibili sia nello stile che nel carattere, testimonianze di un’epoca a noi remota, ma fortemente caratterizzante le esperienze vissute dalle comunità che vi affondano le radici. Racconterà spesso di non considerare casuale ed irrilevante il fatto di essere nato, in quel di Rivolta, nel luogo che in epoca medievale fu il Monastero delle Umiliate intitolato proprio a Sant’Ambrogio.

Nel 1982 un altro Santo Papa, Giovanni Paolo II, lo chiama a reggere la Diocesi di Crema.

Scriverà anni dopo don Giorgio Zucchelli sull’edizione speciale de Il Nuovo Torrazzo (settimanale cremasco) dedicato al suo addio: «Era arrivato a Crema a malincuore. Era venuto piangendo (come egli stesso ebbe a confessare più volte) perché doveva lasciare la grande Milano per una cittadina che non ha mai vista né conosciuta. È arrivato tra noi accolto con il solito, spontaneo entusiasmo e via via si è affezionato a questa piccola Diocesi che riuscì a renderlo felice ed a fargli vivere gli anni più belli della sua esperienza episcopale. Dovendola lasciare per tornare a Milano le lacrime si sono invertite: ora avrebbe voluto restare a Crema. E, tutto sommato, ci restò sempre. Con il cuore».

A Crema il Vescovo Libero viene ben presto apprezzato come il Vescovo della gente. Non è raro incontrarlo per strada, in centro o in periferia, trafelato tra una visita e l’altra che il prelato non manca di fare personalmente agli ammalati ed alle persone bisognose. L’esperienza da prete di città in tempo di guerra l’ha profondamente forgiato e non sono certo il nuovo ruolo e la nuova responsabilità pastorale a cambiare il suo modus operandi. I cremaschi chiedono un Vescovo-Padre e Mons. Tresoldi non li delude: per questo non lo dimenticheranno e lo accoglieranno con caloroso e rinnovato affetto anche quando, dopo il suo ritiro, tornerà in città per qualche ricorrenza o celebrazione liturgica.

Il suo ministero episcopale in riva al Serio è molto fecondo: prima di tutto sulle premure nei confronti dei poveri. Pensa, appena insediato, a rilanciare il Cuore di Crema, l’istituzione che in città gestisce un dormitorio pubblico ed un centro di accoglienza per il recupero dei tossicodipendenti. La arricchisce di nuove strutture e la indirizza anche ai bisogni del mondo femminile. Istituisce la Caritas diocesana e fa sorgere, ai Sabbioni, una casa di accoglienza per i senza dimora.

Ma si occupa anche di questioni non del tutto ecclesiali: le crisi Olivetti, Pan Electric, Ferriera e Mae lo vedono coinvolto in prima persona nelle battaglie a difesa delle centinaia di operai a rischio di licenziamento. Incontra i lavoratori, promuove raccolte di fondi per le famiglie coinvolte, partecipa ad assemblee, interviene ad un memorabile Consiglio comunale aperto, convocato per discutere sulle gravi questioni occupazionali aperte in città. Si spinge fino a Roma per un personale incontro, nel 1992, con l’allora Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti. Forte della lunga esperienza milanese mette le problematiche sociali e del lavoro tra le priorità della pastorale diocesana. Nel 1987 promulga un documento dal titolo La strada davanti a noi: la Chiesa di Crema e l’economia del territorio. Un secondo documento, nel 1995, viene titolato Il territorio cremasco davanti allo specchio: area di crisi o area di sviluppo?

E poi i rapporti con i suoi preti: «Ho trovato tanta collaborazione qui a Crema – dichiarerà in occasione del suo 25° di episcopato –  Il Vescovo da solo non potrebbe fare nulla se non avesse attorno a sé una serie di collaboratori generosi ed attenti. Non tutto ha funzionato al meglio, a partire da me: devo però attestare che, in questi anni, alcune forme di collaborazione sono diventate sempre più consistenti».

Tra il 1984 ed il 1987 compie un’accurata Visita pastorale. «È stato un momento grande – racconterà – ricco di fatica e di tanta gioia. Una visita vera. Ho avuto infatti la possibilità di fermarmi con calma in ogni parrocchia, celebrando alcune Sante Messe, predicando alle altre, incontrando tutte le varie realtà ecclesiali e civili, visitando scuole ed aziende. E soprattutto è stata una visita vera perchè ho avuto la possibilità di avvicinare ogni malato e ogni sofferente, parrocchia per parrocchia. Credo che nessun vescovo sia nelle condizioni di fare una visita in questo modo».

Erige una nuova chiesa per la giovane parrocchia di Sant’Angela Merici, nel quartiere di via Bramante, e porta a termine la chiesa di San Carlo iniziata dal predecessore Mons. Carlo Manziana. Ed il suo impegno è anche per il recupero e la valorizzazione del patrimonio artistico esistente: lo straordinario restauro del Santuario di Santa Maria della Croce, della chiesa di San Benedetto, di Santa Maria della Grazie e di San Bernardino in centro città, quest’ultima destinata anche – in forma di Auditorium dedicato a Bruno Manenti – ad essere centro nevralgico delle attività culturali cittadine. Attenzione anche al mondo giovanile ed alle strutture con il rilancio di diversi oratori e la costruzione ex novo di altri: basta ricordare quelli di San Bernardino, di San Giacomo, di San Carlo e quelli di Trescore Cremasco e Castelnuovo.

Il suo occhio di riguardo raggiunge anche il patrimonio più nascosto: sostiene l’inventario dell’intero materiale artistico conservato nelle chiese e negli oratori della Diocesi (pitture, sculture, suppellettili sacre e libri antichi) in collaborazione con la Regione Lombardia e la Provincia di Cremona.

Il prelato rivoltano custodisce gelosamente il ricordo delle sue origini. Non disdegna di tornare all’antico borgo in riva all’Adda ogni qualvolta se ne presenti l’occasione, invitato a più riprese per solennizzare la festa patronale di Sant’Alberto o per altre particolari ricorrenze: da novello vescovo, nel marzo 1971, viene accolto trionfalmente dai Rivoltani; all’inaugurazione delle Missioni parrocchiali, nel settembre 1980, non fa mancare la sua parola presiedendo una memorabile e solenne celebrazione; al centenario di fondazione dell’Istituto Suore Adoratrici, nell’ottobre 1982, celebra orgogliosamente insieme al Vescovo di Cremona ed a quello di Lodi la storica ricorrenza; per la celebrazione della Messa d’oro, nel novembre 1993, accetta l’omaggio dei suoi concittadini che lo vogliono festeggiare affettuosamente. Al Prevosto Mons. Angelo Cattaneo – dal quale lo separano soltanto cinque anni d’età e con il quale lo unisce un’amicizia di lunga data – che dall’ambone non manca, in ogni occasione, di salutarlo esprimendo l’orgoglio della comunità rivoltana nell’annoverare un vescovo tra i suoi concittadini, risponde affettuosamente: «Sono quasi geloso della tua Rivoltanità. Pur essendo io nato a Rivolta mi sento meno Rivoltano di te che con Rivolta hai potuto instaurare, in tutti questi anni, quel legame d’affetto sincero che il pastore stabilisce con il suo gregge». Torna spesso presso la Basilica del suo Battesimo anche in occasione delle esequie di parenti o semplicemente per celebrare la Messa a suffragio dei suoi famigliari. Non si sottrae ai numerosi rapporti epistolari con i Rivoltani che abitualmente gli inviano saluti ed auguri.

Il Vescovo Libero, nei lunghi anni di governo della Diocesi di Crema, promuove anche tappe importanti per la vita ecclesiale: indìce e celebra il XXII° Sinodo diocesano che impegna la chiesa cremasca alla sua prima importante verifica successiva al Concilio Vaticano II. Un lavoro che durerà cinque lunghi anni e che vedrà quale significativa e decisiva tappa la visita che il Papa San Giovanni Paolo II farà alla città ed alla Diocesi il 20 giugno 1992: il momento più importante del lungo ministero di Mons. Tresoldi che lo vede presentare personalmente alla guida universale della Chiesa Cattolica il frutto del suo lavoro pastorale. Si rivolge al Papa descrivendo la chiesa di Crema «… come la più piccola delle Diocesi della Lombardia e la più recente nella storia religiosa del popolo lombardo, che desidera ricongiungersi, attraverso i suoi pastori, alla predicazione degli Apostoli. Se non è presunzione, ci vogliamo paragonare alla piccola Betlemme, non priva di ombre e fragilità, ma pur ricca di realtà sinceramente positive e profondamente cristiane».

Quattro anni dopo, nel gennaio 1996, annuncia il suo ritiro dall’incarico pastorale. E lo fa con queste parole: «Al compimento dei 75 anni di età, come prescrive il Diritto Canonico, pongo nelle mani del Papa la mia disponibilità. Spero di potergli dire con verità che ho amato intensamente la Chiesa di Crema e che continuerò ad amarla sempre».

La sua quescienza non è affatto inattiva ed infeconda. Dal minuscolo appartamento meneghino di Via Taormina, in zona Montalbino, lo si vede uscire spesso per mettersi a disposizione dell’arcidiocesi milanese e delle diocesi limitrofe: per celebrare Messe nelle parrocchie metropolitane, per somministrare le Cresime, per celebrare ricorrenze o per occasioni di predicazione.

Torna spesso a Crema e si autodefinisce affettuosamente il nonno della Diocesi, in quanto emerito due volte, essendo sopravvissuto al suo successore Mons. Angelo Paravisi.

Lo ferma solo la malattia che lo porterà alla morte all’età di 88 anni dopo una lunga esistenza vissuta a servizio della Chiesa e del popolo di Dio. Le esequie sono celebrate il 24 ottobre 2009, in mattinata, nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, alla presenza del Cardinale Dionigi Tettamanzi e, nel pomeriggio, a Crema, in un Duomo gremito di fedeli e di autorità – tra cui una delegazione della Giunta Municipale di Rivolta d’Adda con il gonfalone comunale. «La vita del Vescovo Libero – affermerà durante l’omelia l’allora Vescovo di Crema, Mons. Oscar Cantoni – si è tradotta in un essere per gli altri, una vicinanza verso tutti, il più grande e il più piccolo».

La salma sarà tumulata nella cripta della Cattedrale cremasca.

Rivolta d’Adda è orgogliosa di aver dato i natali ad un personaggio così significativo per il vissuto di molte comunità. Ha lasciato un segno indelebile non solo dal punto di vista ecclesiale: il suo impegno ha invaso la sfera sociale e culturale della gente che ha incontrato e delle comunità che ha guidato.

Ivan Losio


Il mio ricordo di don Libero

Conservo impressi nella mente dei cari ricordi del Vescovo Libero. Nonostante ci legasse un rapporto di parentela non così stretto, mi capitava spesso di ospitarlo a casa nostra in occasione delle frequenti visite che faceva a mia nonna, cugina della madre (ma che lui ha sempre chiamato zia). Le era molto affezionato perché ella fu sua madrina di Battesimo.

Amava venire a Rivolta fin dai tempi del suo apostolato di semplice sacerdote e non rinunciò alle sue abituali visite in paese anche dopo l’elevazione alla dignità episcopale. Ricordo molto bene le lunghe chiacchierate che si concedevano lui e la nonna. Don Libero, come sempre, si rivolgeva alla zia con il Lei e mia nonna, dopo che diventò Vescovo, riusciva a stento ad intrattenere l’imbarazzo di parlargli nel modo in cui ci si rivolge normalmente ad un nipote … lui immancabilmente ripeteva: «Zia, deve continuare a darmi del tu!».

In occasione del Natale e della Pasqua, da parte della nonna non mancava mai un biglietto d’auguri ed una telefonata a don Libero e lui puntualmente rispondeva con ricambiato affetto.

Mia nonna era una donna semplice ed ogni volta si sentiva in dovere di scusarsi per il fatto di sapersi esprimere solo in dialetto. Facevano lunghi discorsi legati agli eventi di famiglia, al ricordo dei tanti parenti passati a miglior vita e delle sempre belle novità sul suo ministero che il sacerdote amava rendicontare alla zia e che la nonna – orgogliosamente – amava farsi raccontare. Non potrò mai dimenticare la gioia che invase casa mia quel giorno di settembre del 1970 quando arrivò la notizia che il Papa San Paolo VI aveva scelto don Libero come Vescovo ausiliare di Milano. Quando la notizia si sparse, venne a casa nostra un giornalista de La Provincia e chiese a mia nonna quali sensazioni provasse. Lei, con tutta la schiettezza delle persone di una volta, ricordo che rispose: «Per ora non posso dire nulla perchè Mons. Libero non è ancora ufficialmente vescovo. Quando lo sarà glielo saprò dire. Piuttosto, chissà se riuscirò a rivolgermi a lui chiamandolo Eccellenza …»

A Rivolta vi fu una grande festa solo qualche settimana dopo, domenica 28 marzo 1971, quando il neo Vescovo volle celebrare una Messa nella Basilica dove ricevette il sacramento del Battesimo. Lo stesso avvenne anche 12 anni dopo quando venne scelto per reggere la Diocesi di Crema.

Incontrai per l’ultima volta il Vescovo Libero in occasione del funerale di mia nonna, ormai 28 anni fa. Fu importante condividere con lui quel momento così triste.

Custodisco nel cuore il ricordo di questi affettuosi eventi e, tutte le volte che se ne presenta l’occasione, mi piace raccontarne qualche aneddoto. E’ un modo come altri per tener vivo il ricordo di questo nostro illustre concittadino, che amava la sua comunità di origine ed ha svolto un ministero importante nella Chiesa.

Alfonso Garotta


Sfoglia la Voce di Sant’Alberto – Anno XIV n. II – 3 aprile 1971

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